lunedì, Aprile 29, 2024

Al Pompeii Theatrum Mundi 2023, Medea di Euripide rivisitata da Federico Tiezzi

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Carlo Farina
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Carlo Farina - cura la pagina della cultura, arte con particolare attenzione agli eventi del Teatro San Carlo, laureato in Beni culturali, giornalista.

Arriva al Teatro Romano di Pompei la “Medea” di Euripide secondo Federico Tiezzi. Protagonista Laura Marinoni. In scena sabato 1 e domenica 2 luglio, alle ore 21.00

Archiviati gli incredibili primi due successi di pubblico per i due spettacoli che hanno aperto la stagione 2023, e dopo il felice debutto dello scorso 14 maggio e le acclamate rappresentazioni al Teatro Greco di Siracusa su produzione dell’INDA – Istituto Nazionale del Dramma Antico per la sua 58esima Stagione di testi classici, arriva al Teatro Grande del sito Archeologico di Pompei sabato 1 e domenica 2 luglio sempre alle 21.00, l’atteso allestimento firmato dal regista Federico Tiezzi della Medea di Euripide, celeberrimo modello drammatico di incomparabile tragicità, affidata alla traduzione di Massimo Fusillo. 

Già accolto dai favori della critica che ha sottolineato l’approdo registico da dramma borghese e novecentesco del mito di Medea, lo spettacolo vede in scena, in ordine di apparizione, Debora Zuin (nutrice), Riccardo Livermore (pedagogo), Laura Marinoni (Medea), Roberto Latini (Creonte), Alessandro Averone (Giasone), Luigi Tabita (Egeo), Sandra Toffolatti (il nunzio), Francesca Ciocchetti (prima corifea), Simonetta Cartia (prima coreuta). 

Coro: Alessandra Gigli, Dario Guidi, Anna Charlotte Barbera, Valentina Corrao, Valentina Elia, Caterina Fontana, Francesca Gabucci, Irene Mori, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentini, Claudia Zappia; responsabile del coro Simonetta Cartia; i figli di Medea sono Matteo Paguni, Francesco Cutale;con la partecipazione degli allievi e delle allieve dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico. Maestro del coro Francesca Della Monica. Le scene sono di Marco Rossi, i costumi di Giovanna Buzzi; il disegno luci di Gianni Pollini. Il mito e la trama di Medea rappresentano qualcosa di altamente tragico e di drammatico e la vicenda raccontata da Euripide sembra essere ancora oggi più che attuale e quando nel 431 a.C. fu in concorso contro Sofocle e Euforione, lasciò un’impressione profonda e permanente nella mente del pubblico ateniese e la versione da lui stesso usata per questo dramma, sappiamo che non gli fu imposta.

Infatti poteva scegliere di far uccidere involontariamente i figli per mano di Medea, o che quest’ultima potesse uccidere Creonte e i parenti di quest’ultimo uccidere a loro volta i suoi figli, invece Euripide creò una nuova e più sconvolgente versione, più tragica e violenta dal punto di vista psicologico: Medea uccide volutamente i suoi figli Mermero e Fere, per punire suo marito Giasone, l’uomo che l’ha tradita e abbandonata.

Medea entra in scena dopo che la nutrice ha narrato come dalla Colchide (Turchia) la principessa discendente dal Sole abbia seguito Giasone a Corinto e là sia stata abbandonata per Glauce, figlia del re Creonte. Si sentono quindi lamenti e urla di Medea, mentre il coro è in scena, finchè la protagonista entra e denuncia la propria condizione, sfortunata come è in genere quella femminile.

Entra Creonte e la esilia, ma lei gli strappa ancora un giorno a Corinto. Incontra quindi Giasone, cui minaccia vendetta, meglio delineata dopo un colloquio con il re di Atene, Egeo, che la ospiterà nella sua città. Dopo avere inviato a Glauce doni avvelenati, che uccideranno lei e il padre, Medea uccide i figli e nega a un Giasone annientato perfino i loro corpi, portandoli con sé sul carro del Sole, verso Atene.

Ma vediamo come Federico Tiezzi affronta e mette in scena la “sua” Medea: «C’è un prima e un dopo nel mito di Medea. Il prima è la Colchide, la terra incognita, oltre molte colonne d’Ercole, una terra di forza naturale, un’origine, la “terra natale” in cui «dire sé stessi» di Heidegger. E c’è un dopo, che è Atene, regno di Egeo e dell’apollineo, pronto a essere invaso dal dionisiaco di Medea.

Nel mezzo c’è Corinto: feroce turning-point le cui carte sono state però già date prima. Il prologo musicale che ho chiesto di comporre a Silvia Colasanti nasce da questa intuizione: in proscenio, addormentata, Medea sogna il mondo del prima.

Un mondo tribale e lontano, una “terra del rimorso” demartiniana ancorata al mondo naturale, minerale, animale, il cui totem è un uccello. Questo prima della donna straniera, barbara, che da immigrata affronta il purgatorio del disprezzo e dell’esclusione, è la chiave del mio spettacolo. La Colchide come un’alterità lontana eppure inalienabile, una profondità interstellare: un grande Autre lacaniano, dove i codici regolari delle cose si mescolano, si confondono, si oltrepassano.  Anche Giasone è, a sua volta, un portatore di violenza: ma una violenza di tipo diverso – simbolica, oggi diremmo “neocapitalista”.

Una violenza dettata dalle convenienze politiche, dinastiche, economiche. A quella violenza simbolica, Medea risponde con una violenza “reale”. Ho quindi impostato la tragedia non come una rappresaglia individuale, ma come uno scontro fra due diverse concezioni della forza. È un clash fra culture, tra la società tribale e rituale della Colchide e la polis fondata sulla legge. Uno scontro fra una società arcaica e una società post-industriale. Tra Ordine e Disordine.  

Medea afferma la superiorità della forza del suo mondo contro quello di Giasone; contrappone la distruzione fisica della famiglia alla distruzione simbolica che le avanza Giasone. In un certo senso, è proprio lei che “vince”: come ha scritto Roland Barthes parlando del marchese de Sade, la lettera vince sempre sul simbolo; l’evento prevale sulla struttura che lo giustifica; il corpo viene prima di ogni metafora. Soccombono i figli, soccombe l’idea stessa del futuro. Resta solo il silenzio».

 

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