giovedì, Maggio 16, 2024

Marcianise: arrestata Maria Buttone, reggente del clan Belforte

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Francesco Monaco
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Francesco Monaco, giornalista. Esperienza dalla carta stampata a internet, radio e tv. Scrittore, il suo primo romanzo: 'Baciami prima di andare'.

Maria Buttone, moglie di Domenico Belforte, boss dello storico clan attivo a Marcianise, è stata condannata all’ergastolo perché accusata di essere la mandate dell’omicidio della amante del marito.

La squadra mobile di Caserta ha eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Maria Buttone, moglie di Domenico Belforte storico ras dell’omonimo clan camorristico di Marcianise. Il provvedimento è stato emesso all’esito del deposito delle motivazioni con le quali il 19 dicembre 2019, con sentenza emessa al termine di rito abbreviato, il GUP del Tribunale di Napoli ha condannato marito e moglie, rispettivamente ad anni 30 di reclusione e all’ergastolo, più pene accessorie, in quanto giudicati responsabili dell’omicidio di Angela Gentile, consumato nell’ottobre del 1991. La mandante è stata condannata altresì per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. poiché riconosciuta quale effettiva “reggente” del clan camorristico, almeno dall’aprile 2016 all’agosto 2017.

Gli elementi probatori alla base dell’emissione della sentenza, confermati nella misura cautelare eseguita, sono stati acquisiti nell’ambito di una indagine che, sviluppata dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha permesso di far luce sulla sparizione di una donna, verificatasi nel 1991, oltre che sulle più recenti dinamiche afferenti alla gestione del clan de “I Mazzacane”, le cui redini sono rimaste per lungo tempo nelle mani della “first lady” criminale di Marcianise.

Le numerose acquisizioni probatorie raccolte, frutto di innumerevoli attività tecniche di intercettazione telefonica e ambientale, ma anche di investigazioni “tradizionali” ed escussioni di collaboratori di giustizia, hanno permesso di ricostruire gli eventi criminali, così da qualificare la sparizione della vittima una “lupara bianca” e da delinearne gli oscuri quanto raccapriccianti contorni. La vittima era stata, come emerso dalle indagini, per lungo tempo amante del suo carnefice e da lui, nel 1978, aveva avuto anche una figlia. L’uomo, tuttavia, non aveva mai “ufficializzato” quella nascita, al punto da non riconoscere la neonata. Nel 1991, però, quando ormai la ragazza aveva 13 anni, si era riavvicinato offrendo anche alcuni contributi di ordine economico ma scatenando, al contempo, le ire della moglie.

Questa, perciò, pose l’uomo di fronte a una scelta: o lo avrebbe lasciato, portando con sé i loro figli, oppure lui avrebbe dovuto assassinare quella donna e occultarne il cadavere; in cambio, avrebbe accettato di crescerne la figlia presso la loro casa. Il tragico epilogo della vicenda segnò la scelta del ras il quale, consumato il delitto, occultò il cadavere in un sito ancora oggi ignoto. Allo stesso tempo conformemente a quanto pattuito la figlia nata fuori dal matrimonio venne accolta in casa.

Le indagini hanno dimostrato come la mandante abbia continuato a gestire il clan in nome e per conto del marito, con massimo potere decisionale. I personaggi emersi, infatti, tutti legati tra loro dal vincolo familiare, hanno continuato a ruotare attorno a lei, coltivando le attività estorsive, in particolare quelle limitate ad una platea di storici contribuenti che, fino al tempo di svolgimento dell’indagine, hanno continuato a versare danaro alla famiglia del boss. Terminati gli atti di rito, la donna è stata trasferita alla Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.

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