martedì, Aprile 23, 2024

Carlo Cerciello: la pandemia ha solo mostrato le piaghe nascoste dalle bende

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Giuseppe Giorgio
Giuseppe Giorgio
Caporedattore, giornalista professionista, cura la pagina degli spettacoli e di enogastronomia

Carlo Cerciello, attore e regista, parla dei suoi ultimi impegni e si sofferma sulle condizioni in cui versa il mondo dello spettacolo con la pandemia che blocca ancora tutte le attività sociali.

Personaggio di spicco nell’ambito della formazione teatrale, nonchè fondatore e direttore dal 1996 di una roccaforte della drammaturgia contemporanea riconosciuta dal Ministero come il teatro Elicantropo, è l’attore e regista Carlo Cerciello a parlare dei suoi ultimi impegni e a soffermarsi sulle condizioni in cui versa il mondo dello spettacolo dopo la pandemia.

Impegnato tra cinema, teatro e televisione, dopo aver lavorato con alcuni grandi registi ed essersi avvicinato al canto con i maestri De Simone e Sinagra, Cerciello fu iniziato al teatro da un personaggio come Gennaro Vitiello.

Particolarmente vicino al politico e al sociale, negli anni ha diretto lavori di autori del calibro di Shakespeare, Saramago, Paravidino, Viviani, Pasolini, Borrelli, Brecht, Bernhard, Moscato, Santanelli, Testori, Calvino e Orwell e ha ottenuto, tra i vari riconoscimenti, i Premi “Ubu”, “Ruccello”, “Hystrio”, “Cervi” e ancora, il Premio “Anct” e il Premio “Le Maschere del Teatro Italiano”.

«In vecchiaia – ha detto Cerciello- dopo tanto teatro, ad aiutarmi ad andare avanti dopo l’esperienza con la serie televisiva “Gomorra”, è stato il cinema. Anche se non posso fare anticipazioni, attualmente sto lavorando a Ostia sul set di un film ben collocabile nel cosiddetto cinema d’autore. Si tratta di occasioni che al di là della stimolazione dell’auto narcisismo offrono opportunità di lavoro diverse in un momento in cui il settore è decisamente in ginocchio».

Come sta vivendo questa crisi dello spettacolo scaturita dalla pandemia?

«Personalmente, nonostante il dramma che si sta vivendo, mi ritengo fortunato perchè approfittando di quel interregno creatosi dopo l’avvento del Covid e prima dell’azzeramento delle relazioni umane, sono riuscito a portare in scena come regista per ben due settimane al Mercadante, il lavoro “I manoscritti del diluvio” di Michel Marc Bouchard. In più, posso beneficiare di una piccola sovvenzione voluta dal Ministero per la mia scuola di teatro ritenuta di “Alta Formazione”, grazie alla quale riesco a pagare il fitto e le bollette. Ma è proprio pensando a queste piccole fortune certamente non per tutti che, al di là del solito discorso sulla categoria vessata, mi intristisce la realtà di questi mesi. La pandemia ha solo scoperchiato un vaso già stracolmo, mostrando le piaghe da molto tempo nascoste sotto le bende. Il sistema era fradicio già da prima del Covid, basato sulla precarietà e privo di ogni solidità. In questo contesto, i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri».

Qual è il suo pensiero circa le nuove forme di teatro tirate in campo dopo le restrizioni sanitarie?

«Il teatro per me è sinonimo di fare e pertanto non può privarsi delle esperienze umane, senza le quali non ha senso. Si parla, sempre più, dopo lo stop dovuto alla pandemia, di sistemi audiovisivi legati alla diffusione del teatro ma superando la critica banale e ovvia che vuole lo spettacolo solo dal vivo, mi soffermerei sul fatto che questa soluzione altro non è che retroguardia. Il settore culturale in tv ha sempre trovato spazio, basta vedere le teche di Rai Cinque. Ecco perchè io parlerei, più che della necessità del teatro dal vivo, della mistificazione di quanto viene proposto come soluzione. I soldi dati alle cosiddette piattaforme web per il teatro in streaming, sovvenzionano un criterio che non corrisponde affatto alla soluzione del problema ma ad una vera e propria presa per i fondelli».

Quindi lei è contrario al teatro diffuso attraverso internet?

«Il teatro è un rito che si svolge unicamente dal vivo. Le registrazioni per il web e la tv fungono bene come documento per consegnare al tempo le grandi rappresentazioni. Non è possibile ipotizzare che una piattaforma possa sostituire il teatro. Lo streaming e il mercato dell’audiovisivo con il teatro non c’entrano nulla. Si stanno buttando milioni d’euro e mentre tutti si impegnano a registrare commedie, centinaia di lavoratori dello spettacolo stanno cambiando mestiere. Purtroppo in Italia la cultura è ritenuta una cosa morta e non ci si deve meravigliare per queste negatività».

Secondo lei si potrà tornare alla normalità e quando ciò accadrà, sarà tutto come prima?

«Ho forti dubbi sul fatto che tutto possa tornare come prima. Prima che ciò possa accadere bisognerà sconfiggere la diffidenza e la paura degli altri inoculata in ognuno di noi. L’operazione sarà più facile nei grandi spazi dove, con le dovute precauzioni, si potrà tornare ad una normalità tra virgolette ma per i piccoli spazi di prossimità e i teatri indipendenti che rappresentano la vera linfa vitale del settore creativo, sarà molto difficile farcela. Per i piccoli teatri sarà pressoché impossibile rispettare le norme sanitarie che andranno avanti per molto. Ciò porterà alla creazione di un cambiamento radicale che in tanti al potere auspicavano da tempo. Bisogna comprendere che il tessuto connettivo del teatro in Italia non è composto solo dalle Istituzioni ma che è fatto di formazione e di pubblico. Ecco perchè finchè il rientro verso la normalità potrà essere operato unicamente dai grandi spazi istituzionali, il teatro indipendente continuerà ad essere falcidiato e funestato».

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