domenica, Gennaio 19, 2025

Al Teatro Diana la Premiata Pasticceria Bellavista in versione Nest

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Giuseppe Giorgio
Giuseppe Giorgio
Caporedattore, giornalista professionista, cura la pagina degli spettacoli e di enogastronomia

Al Teatro Diana la “Premiata Pasticceria Bellavista”, tra momenti surreali, canzoni canticchiate e risate, grida ancora una volta il principio secondo il quale per guardare bene il mondo non bastano gli occhi.

Basta un poco di zucchero avrebbe detto Mary Poppins. Ed è stato proprio il consiglio della magica e celebre tata inglese, opportunamente modificato nel segno del male, a rappresentare ancora una volta la chiave di svolta della situazione kafkiana balzata puntualmente in primo piano nella riedizione della commedia di Vincenzo Salemme “Premiata Pasticceria Bellavista”.

Un lavoro che tornato in scena al Teatro Diana, per la prima volta senza il suo creatore, e affidato alla compagnia del Nest diretta da Giuseppe Miale Di Mauro, ha riproposto tra paradossi e situazioni familiari inquietanti quel tipico “perturbante” freudiano. Così, per dirla alla Saramago, la storia di “cecità” scritta da Salemme nel 1997, con i suoi esseri incapaci di vedere la vita e il cieco vero protagonista di tutta la vicenda che paradossalmente vede più di tutti, è tornata in palcoscenico per mostrare che non basta avere due occhi per osservare l’esistenza umana e le inconfessabili verità celate dietro l’ipocrisia.

Trovandosi dinanzi alle loro inconvertibili realtà, i personaggi della “Premiata Pasticceria Bellavista”, tra battute animate dalla vigliaccheria umana e dalla ambiguità, devono fare i conti con una voce fuori campo proveniente dall’alto come quella di un’entità superiore simile a Dio, pronta a ritornare anche dopo la sua apparente morte. Un voce che può essere anche quella di una madre, la quale, controllando dall’alto i propri figli proprietari di una pasticceria finisce per soccombere dinanzi alla cattiveria da lei stessa generata.

Una commedia per ridere quella di Salemme ma che fa anche terribilmente paura. Una messinscena mentale che alla prima al Teatro Diana insieme agli attori Francesco Di Leva e Giuseppe Gaudino ha pure proposto l’interprete Adriano Pantaleo, il quale, ben calato nei panni di un cieco diviso tra gli stilemi del non vedente contrabbassista vivianeo don Ferdinando e il Mario Spelta di quegli eduardiani “Occhiali Neri”, ha saputo efficacemente sintetizzare con una bella prova la vera morale di tutta la commedia.

Una rappresentazione amara ambientata contraddittoriamente tra il dolce di una pasticceria che sulla scia delle illegalità sorte in merito alla donazione degli organi, vede Ermanno Bellavista il proprietario del laboratorio dolciario, già sottoposto ad un trapianto di cornea per recuperare la vista, dover fare i conti con Carmine, un clochard vittima di un coma ed originario possessore degli occhi in questione al quale erano state frettolosamente e non legalmente espiantate le cornee.

Così tra relazioni amorose ufficiali e segrete e gravidanze promiscue, la storia dei Bellavista va avanti fino a quando, proprio l’eliminazione dell’ingombrante mater familias metterà soltanto apparentemente le cose al loro posto. Ponendo alla ribalta i problemi dell’etica, della morale o più semplicemente del bene e del male al cospetto della donazione degli organi, il lavoro di Salemme in mano alla Compagnia del Nest tra cui anche la “canterina” Viviana Cangiano e gli altri attori Stefano Miglio, Cristel Checca, Dolores Gianoli e Alessandra Mantice, si pone nuovamente al pubblico come una sorta di interrogativo sulle pecche umane.

Per la prima volta senza il suo autore in scena, la “Premiata Pasticceria Bellavista”, tra momenti surreali, canzoni canticchiate come “Duje Paravise” “Carmela” e “Figlio Unico”, fino a giungere alla “Casta Diva” della Norma di Bellini, grida ancora una volta il principio secondo il quale per guardare bene il mondo non bastano gli occhi.

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