sabato, Dicembre 20, 2025

Al Bellini con L’Empireo verità e destino tra cielo e terra

Nella penombra del Teatro Bellini, “L’Empireo” si libra come un affresco epico e vibrante, un coro di anime femminili sospeso tra cielo e fango, tra la luce beffarda della cometa di Halley e l’odore acre della terra. Serena Sinigaglia, regista dall’occhio ardente e dal passo narrativo ampio, abbraccia la sfida più antica del teatro: raccontare il potere e la fragilità attraverso un’umanità schietta, antiretorica, priva di fronzoli.

E lo fa scegliendo un testo del presente che osa vestirsi di Settecento, quello scolpito dalla penna tagliente di Lucy Kirkwood, qui tradotta con cura e tensione morale da Monica Capuani e Francesco Bianchi. È marzo del 1759, e dodici donne di campagna vengono convocate da un giudice per pronunciare un giudizio di carne e destino: decretare la sorte di una ragazza che si dice gravida per sottrarsi alla pena di morte.

Attorno a quell’annuncio di maternità si stringe una giuria fatta di corpi stanchi, di voci che sanno di cenere e di vento, di biografie che paiono incise nelle pieghe dell’anima. Questa assemblea di matrone e spiriti inquieti non è solo tribunale: è specchio di secoli, di soprusi, di attese, di desideri mai detti.

E mentre il giudice appare lontano, quasi un’eco di potere sordo e maschile, le donne emergono nella loro feroce autenticità, con un linguaggio ruvido e sincero che nulla concede alla comodità della retorica. Il cast, folto, offre una prova corale di grande intensità. Giulia Agosta, Alvise Camozzi, Matilde Facheris, Viola Marietti, Francesca Muscatello, Marika Pensa, Valeria Perdonò, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Chiara Stoppa, Anahì Traversi, Arianna Verzeletti, Virginia Zini e Sandra Zoccolan animano un universo di gesti antichi, sguardi velati e improvvise fenditure emotive.

È un teatro di fiato e verità, dove ogni sussurro pesa come un verdetto e ogni risata ha la dolcezza amara dell’autodifesa. La drammaturgia curata da Monica Capuani tesse fili invisibili tra epoche, mentre le scene di Maria Spazzi, costruiscono un limbo sospeso tra stalla e firmamento. I costumi di Martina Ciccarelli restituiscono umori e fatiche, la luce pensata da Christian LaFace scolpisce i volti come lampi di giudizio, e il sound design di Sandra Zoccolan amplifica respiri, silenzi e battiti in un unico, inesausto cuore collettivo mentre Michele Iuculano accompagna la regia.

Prodotto dal Teatro Carcano insieme al Teatro Nazionale di Genova, al Teatro Stabile di Bolzano, al LAC – Lugano Arte Cultura e alla Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, “L’Empireo” non è solo spettacolo: è atto civile, rito comunitario, viaggio nella storia che ci riguarda ancora. È voce che non chiede applausi, ma ascolto; non cerca consolazioni, ma verità. E quando il verdetto cala, resta nell’aria un silenzio fitto, quasi sacro. Non è solo la storia di dodici donne del 1759, ma la nostra storia, fatta di conquiste ancora fragili, di diritti da vigilare, di dignità che chiede voce ogni giorno.

“L’Empireo” non offre risposte accomodanti: apre ferite antiche e le illumina con la crudeltà e la grandezza della verità, ricordandoci che la libertà, quella autentica, non si eredita mai per sempre. E allora ritorna l’immagine della Cometa di Halley, che proprio nel 1759 attraversò i cieli come presagio e promessa. L’uomo la osservava interrogando il destino, eppure, mentre l’universo cambiava rotta e splendore, restavano immutati i misteri dell’essere donna, il peso della sua condizione, le sue battaglie silenziose: ieri come oggi, un enigma sacro e ferito che ancora chiede ascolto e giustizia.

Si esce dal Bellini con un peso sul petto e con un pensiero nitido: il cielo può essere luminoso, sì, ma resta impotente se a cambiare la storia non siamo noi. E così non rimane che scegliere, tra l’indifferenza e il coraggio, quale giudizio imprimere al nostro tempo, e quale futuro consegnare a quelle luci che, cicliche e ostinate, tornano a brillare sopra le nostre teste.

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