Quando, nell’ormai lontano 1999, tre anni dopo la nascita, il sipario del Teatro Elicantropo si levò su “Contagio”, la drammaturgia riadattata dal suo stesso fondatore Carlo Cerciello della celebre “Cecità” di José Saramago, qualcosa d’irreversibile accadde: lo spazio di Vico Gerolomini cessò di essere un teatro tra tanti e assunse il volto di un organismo vivente, un labirinto di parola e coscienza.
Da allora, per trent’anni, Elicantropo è stato fecondato da progetti, resistenze, sogni e scosse morali. Oggi, in un tempo che geme sotto il peso di conflitti e dolore, e nel quale lo stesso teatro sceglie di collocarsi accanto al popolo palestinese, la nuova stagione si apre con una dichiarazione netta: “Trent’anni dopo è anno zero – punto di non ritorno. Il genocidio”. Con questa radicalità, l’Elicantropo aderisce alla campagna “Nessun teatro italiano è complice del genocidio”.
Il teatro di Carlo Cerciello è da sempre un gesto. Combinare arte, formazione e ricerca non come compartimenti stagni, ma come vene interconnesse: questa è la cifra identitaria che, stagione dopo stagione, ha scolpito un profilo forte e autonomo. Come lui stesso ha affermato, nelle sue parole non vi è retorica, ma tensione morale: «L’arte ha senso, solo se prende posizione…Il teatro, dunque, non può sottrarsi all’orrore girandogli le spalle, deve guardarlo in faccia e denunciarlo con tutta la forza che gli resta.
Il genocidio perpetrato da Israele contro il popolo Palestinese è l’orrore per eccellenza del ventunesimo secolo…A nulla sono serviti gli ammonimenti degli orrori del ‘900… Dio è morto nuovamente a Gaza e forse per sempre». Accanto al direttore, durante la conferenza stampa di annuncio stagione, erano presenti Francesco Somma (in rappresentanza della Fondazione Eduardo De Filippo), il docente Aniello Mallardo e il compositore Antonio Sinagra, a suggello di un impegno che vuole coniugare memoria, cultura napoletana, ricerca teatrale e responsabilità civile.
Il cartellone aperto con il ritorno di “Scannasurice” di Enzo Moscato, diretto da Carlo Cerciello e interpretato da Imma Villa, continua a novembre, dal 13 al 16, con “Chisció e Panza” di e con Enzo Attanasio e Rosalba Di Girolamo, libera e vivace ispirazione al “Don Chisciotte cervantino; subito dopo, il 21 e 22 novembre, “Manuale di sopravvivenza sulla felicità” di e con Chiara Claudi offrirà un singolare monologo-concerto. Sempre nel mese di novembre, dal 27 al 30, andrà in scena “Ginestre” di Elvira Buonocore, con Francesca Fedeli e Alessia Santalucia, per la regia di Gennaro Maresca.
Dall’8 gennaio all’8 febbraio 2026, l’Elicantropo affronterà uno dei miti fondativi della tragedia antica con “Definisci Antigone”, riscrittura scenica dello stesso Cerciello, con Imma Villa, Mariachiara Falcone, Cecilia Lupoli e Serena Mazzei. L’opera mette in dialogo Sofocle, Brecht, Anouilh e la voce contemporanea del popolo palestinese, in un intreccio che unisce passato e presente.
A marzo, dall’11 al 22, il teatro celebrerà se stesso e la propria storia con “Buon Compleanno”, uno spettacolo corale diretto e condotto da Carlo Cerciello, con Roberto Azzurro, Paolo Coletta, Imma Villa, Mariachiara Falcone, Cecilia Lupoli e Serena Mazzei. La primavera scenica si aprirà con “Lu cunto de li cunti” di Giambattista Basile, portato in scena da Silvio Barbiero, seguita da “Nostoi ’O tturna” di Giovanni Piscitelli, monologo ispirato al ritrovamento dei Bronzi di Riace.
Infine, Patrizia Eger sarà protagonista e regista di “Anna Cappelli” di Annibale Ruccello, accompagnata dalla danzatrice Sabrina D’Aguanno e dalle coreografie di Elena D’Aguanno, in scena dal 23 al 26 aprile. La stagione si chiuderà, dal 30 aprile al 3 maggio, con “Oltre la linea 2026”, rassegna di danza contemporanea e arti affini diretta da Rosario Liguoro e promossa da Itinerarte.
Parallelamente, proseguiranno le attività del Laboratorio Teatrale Permanente Elicantropo, il progetto “Studi Eduardiani” in collaborazione con la Fondazione Eduardo De Filippo e il Perfezionamento Professionale per Attori 2025/2026. Il teatro, per Carlo Cerciello, non è più soltanto luogo di rappresentazione: è campo d’azione, atto d’accusa, testimone.
Quando dichiara che «l’assenza di tragedia genera indifferenza», egli sfida ciascuno di noi: se il dramma non seduce nella forma, allora il teatro deve radicalizzarsi, farsi “controforma” del consenso. In una stagione che si apre con il crinale del genocidio palestinese, Elicantropo si propone non come ghetto dell’arte civile, ma come spazio dove lo spettatore non è “cliente” ma “complice consapevole”: complice della domanda, dell’obiezione, della memoria viva. Così, in un anno “zero” che viene dopo trent’anni, la stagione dell’Elicantropo si offre come una dichiarazione morale: non più “teatro che denuncia”, ma teatro che testimonia e interpella.
