Come funziona il bias del sovraccarico di scelta, il fenomeno psicologico per cui un eccesso di alternative può generare stress, indecisione e peggiorare la qualità delle nostre decisioni.
Ogni giorno, un individuo medio prende circa 35.000 decisioni, un flusso quasi ininterrotto di scelte che vanno da quelle più banali e inconsce, come cosa indossare, a quelle più complesse e gravide di conseguenze. In una società che celebra la libertà e l’abbondanza, l’idea di avere a disposizione un vasto ventaglio di opzioni è quasi sempre vista come un vantaggio. Tuttavia, la ricerca psicologica ha rivelato una verità controintuitiva: un eccesso di alternative può diventare un ostacolo, generando un fenomeno noto come stanchezza decisionale o bias del sovraccarico di scelta (choice overload).
Si tratta di una condizione di affaticamento mentale in cui la capacità di fare scelte ponderate viene compromessa, portando a stress, rimpianti e, in molti casi, a una vera e propria paralisi decisionale. Contrariamente a quanto si possa pensare, non è la complessità delle singole decisioni a esaurirci, ma il loro numero accumulato. Il meccanismo alla base di questo paradosso è stato ampiamente studiato dallo psicologo Baumeister, il quale ha teorizzato che l’abilità di prendere decisioni e l’autocontrollo attingono a una risorsa mentale finita. Ogni scelta, anche la più piccola, consuma una frazione di questa energia, e quando la riserva si esaurisce, la qualità del nostro processo decisionale degrada.
Un esperimento classico, condotto dagli psicologi Sheena Iyengar e Mark Lepper, ha illustrato magnificamente questo concetto in un supermercato. A un gruppo di consumatori furono presentati 24 gusti di marmellata: pur attirando più curiosi, il banco generò pochi acquisti. Quando le opzioni furono ridotte a soli 6 gusti, i clienti che si fermarono acquistarono con una frequenza dieci volte maggiore. Questo dimostra che un numero limitato di scelte non solo è meno stressante, ma favorisce attivamente il passaggio all’azione.
Le moderne tecniche di neuroimaging hanno permesso di osservare cosa accade nel cervello durante questo processo. Uno studio del Caltech, condotto tramite risonanza magnetica funzionale (fMRI), ha monitorato l’attività cerebrale di persone intente a scegliere tra insiemi di 6, 12 o 24 opzioni. I risultati hanno mostrato che l’attività in aree chiave come la corteccia anteriore cingolata (che valuta costi e benefici) e lo striato (legato al senso di ricompensa) raggiungeva il suo picco con 12 opzioni, considerate il numero “giusto”. Con 6 opzioni (“troppo poche”) o 24 (“troppe”), l’attività era inferiore.
Secondo gli studiosi, il cervello cerca un equilibrio ottimale tra lo sforzo cognitivo richiesto e la potenziale gratificazione, e questo punto di equilibrio si colloca indicativamente tra 8 e 15 scelte. Superata questa soglia, lo sforzo mentale necessario per la valutazione diventa eccessivo e la motivazione a decidere crolla.
Le implicazioni di questo bias si estendono ben oltre le scelte di consumo e permeano ambiti cruciali della vita, come la scelta del percorso di studi o della carriera professionale. La pressione decisionale diventa ancora più evidente in contesti lavorativi altamente performativi. Un amministratore delegato, per esempio, affronta in media 139 compiti complessi ogni settimana, un carico che accelera l’esaurimento delle risorse mentali.
Un contesto particolarmente emblematico è quello dello sport di alto livello, soprattutto nelle discipline non sequenziali. A differenza del nuoto o della ginnastica artistica, dove le azioni seguono una sequenza predefinita, in sport come il calcio, il tennis, il basket o nelle corse di auto e moto, ogni istante è una scelta.
Un pilota di MotoGP, un tennista che decide dove piazzare il colpo o un calciatore che sceglie se passare o tirare in porta, compiono decisioni critiche in frazioni di secondo. Su ogni atleta grava un’enorme responsabilità, poiché una singola scelta può letteralmente cambiare l’esito di una partita o di una gara. Questa costante pressione decisionale rende la carriera di questi professionisti particolarmente stressante e li espone in modo cronico al rischio di fatica decisionale. Paradossalmente è proprio questa pressione, unita alla possibilità di modificare le sorti di una partita, in un attimo che ha portato alcuni sportivi a scommettere letteralmente contro sé stessi o la propria squadra basandosi sulle relative quote, con i relativi conseguenti scandali.
Quando le energie mentali si esauriscono, compaiono una serie di sintomi rivelatori. La procrastinazione, ovvero la tendenza a rimandare anche decisioni semplici, è uno dei segnali più comuni, insieme all’evitamento, che si manifesta nel “decidere di non decidere”. In altri casi, la stanchezza porta a reazioni impulsive, con scelte irrazionali dettate dall’emozione del momento, o a una totale incapacità di concentrarsi.
A lungo termine, le conseguenze possono essere significative: la qualità delle decisioni diminuisce, l’autocontrollo si riduce (portando a comportamenti come fare acquisti compulsivi o cedere a cibi poco sani), e l’irritabilità aumenta, creando tensioni nelle relazioni interpersonali. Nei contesti lavorativi, questo stato di affaticamento cronico può sfociare in una drastica riduzione della produttività e persino in un vero e proprio burnout.
In conclusione, il fenomeno del sovraccarico di scelta, reso celebre dallo psicologo Barry Schwartz nel suo libro “Il paradosso della scelta”, ci insegna che “più” non è sempre sinonimo di “meglio”. La libertà offerta da un’infinità di alternative può trasformarsi in una gabbia, generando ansia, insoddisfazione e paralisi. La vera abilità nell’era moderna non risiede tanto nell’avere accesso a infinite possibilità, quanto nel saperle gestire con consapevolezza.
Imparare a semplificare, a definire le proprie priorità e a limitare deliberatamente il numero di opzioni a cui ci esponiamo è una strategia fondamentale per ridurre lo stress, migliorare la qualità delle nostre decisioni e, in definitiva, vivere una vita più soddisfacente.
