sabato, Aprile 20, 2024

O’ Sole Mio, un elogio alla città di Napoli e al suo singolare “sole” partenopeo

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Carlo Farina
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Carlo Farina - cura la pagina della cultura, arte con particolare attenzione agli eventi del Teatro San Carlo, laureato in Beni culturali, giornalista.

“‘O Sole mio”, una tra le più celebri e tradizionali canzoni classiche napoletane, famosa in tutto il mondo. 

La chiusura forzata di tutte le attività pubbliche e l’obbligo di restare a casa, chiusi tra le mura domestiche, ci impedisce di godere di una delle più belle e “calde” sensazioni legate in maniera originale, alla città di Napoli.

Infatti, uno degli elementi più famosi e rappresentativi per la stessa, è naturalmente il “Sole” di Napoli, i cui raggi lunghi e profondi, solo in questa città hanno un calore ed un colore del tutto particolare, a tal punto da essere stati celebrati in una celeberrima canzone: ‘O sole mio.

Una canzone che sin dalla nascita, il 1898, era non solo nell’orecchio ma anche sulla bocca di tutti, poiché i versi erano diventati di dominio pubblico, ed il motivo si poteva facilmente cantare, nonostante le note alte del ritornello, che arrivavano sopra il quinto rigo del pentagramma.

Nonostante la grande notorietà, ‘O sole mio non portò né fortuna né agiatezza economica ai suoi due autori, che morirono poveri e senza alcuna soddisfazione artistica. L’autore della musica poi, Eduardo Di Capua, figlio di posteggiatore come fu poi egli stesso, cioè suonatore ambulante nei ristoranti, fu costretto addirittura a vendersi il pianoforte per pagarsi il trasporto in ospedale, nel quale finì amaramente i suoi giorni.

Non andò meglio all’autore dei versi Giovanni Capurro, figlio di un professore di lingue e della siciliana Francesca Prestopino, nato il 5 febbraio 1859 nel popolare quartiere di Montecalvario, adiacente i quartieri spagnoli, che ebbe una vita piena di stenti e di gravi disgrazie familiari.

Infatti i primi tre figli gli morirono subito dopo la nascita, e quelli che sopraggiunsero più tardi conobbero la dura e triste prova della miseria. Conseguito il diploma di flauto presso il conservatorio di San Pietro a Majella, si dedicò al giornalismo, esordendo con il periodico socialista La montagna, ed approdando nel 1896 al giornale Roma.

E fu proprio nei primi mesi del 1898 che, cronista trentanovenne, scrisse i versi di una canzone alla quale conferì il titolo di ‘O sole mio, versi che nonostante la palese popolarità voglio comunque ricordare: Che bella cosa è ‘na jurnata ‘e sole, / ‘N’aria serena dopo ‘na tempesta! / Per l’aria fresca pare già ‘na festa… /  Che bella cosa è ‘na jurnata ‘e sole!  Parole celebri nelle quali si cela il simbolo di una città, di un popolo, di una tradizione e di un grande sentimento, una canzone che appartiene al patrimonio più intimo di Napoli, e rappresenta un capitolo a parte nella storia della canzone classica napoletana.

Purtroppo l’estrema indigenza che caratterizzò la vita di entrambi gli autori lascia una forte amaro in bocca, e una grande malinconia, soprattutto se si pensa che oggi ci sono dei pseudo-cantanti che nonostante le loro immondizie musicali raggiungono guadagni molto alti, a discapito della musica, della cultura e del buon gusto.

Ma questa è tutta un’altra storia poiché gli autori delle nostre canzoni erano dei veri artisti e dei grandi poeti, che la vita aveva segnato  negativamente e troppo spesso durante il loro difficile e lungo cammino, nel campo artistico.  

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