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Donazione organi: dal web una testimonianza per il valore del “dono”

Una toccante lettera postata su Facebook racconta, con sottile ironia, la difficile convivenza di una giovane donna col suo fegato trapiantato.

di Maria Sordino – Ancora una volta il web ci regala una testimonianza straordinaria. Silvia Cadonici, 23 anni, in occasione di un compleanno importante, per il ventennale del suo trapianto di fegato, offre, al popolo di Internet, un messaggio potente, che racchiude il grande valore della donazione d’organi: “Grazie per avermi fatto vivere”.

In poche righe, cariche di ironia, postate su facebook, con una splendida e toccante lettera indirizzata al suo fegato trapiantato, che chiama ‘carissimo amico’, Silvia racconta la convivenza col nuovo organo, regalando a tutti coloro che vorranno leggerla, il valore di un ‘rapporto’ difficile e mai scontato e lasciando trasparire, attraverso un semplice grazie, il senso profondo di gratitudine per il dono ricevuto.

LA LETTERA

“Caro inquilino, ti mostro questa foto di me prima di te perché domani a quest’ora saranno vent’anni tondi tondi che viviamo insieme – scrive Silvia -. Siamo stati benino, se posso dirlo, ma è inutile nascondere che tu mi hai fatto la guerra per molto tempo e ancora oggi, nonostante la reciproca stima e l’intimità che ci lega, noi due, carissimo amico, purtroppo non siamo ancora una cosa sola. Tu vieni da un’altra città, non sappiamo niente della tua famiglia, però qualcosa, scritto da qualche parte, lascia intendere che tu sia un maschio. Fino a qualche tempo fa non abbiamo parlato molto, tu te la sei sempre sbrigata per i fatti tuoi; solo io ogni tanto mi affacciavo per sapere cosa si diceva dalle tue parti, tu niente, manco due righine scritte. Ora, come ben sai ci unisce una piccola capsula colorata che io ti consegno mattina e sera e che tu spacchetti noiosamente senza nemmeno guardarla; beh, dolcissimo inquilino del piano di sotto, nonostante la tua (apparente) noncuranza nei miei confronti io ti sono molto grata. Ti ringrazio per avermi dato tutti questi anni di vita in più; anni pieni di difficoltà, di carta e corsie ospedaliere ma anche di grande esperienza. Ti ringrazio per aver retto al mio proverbiale amore per il cibo, per avermi regalato una enorme cicatrice sulla pancia e per tutto il dolore fisico che in compenso è stato un’ottima palestra per il cervello. Ti ringrazio per avermi permesso di non sembrare un limone maturo, per avermi concesso una adolescenza un ciccinino spericolata e per esserti adattato al primo colpo in quei pochi giorni di terapia intensiva dando una speranza alla mia famiglia. Gentile inquilino, finora hai tirato avanti la baracca nel migliore dei modi, anche se qualcuna delle tue cellule rimarrà per sempre tua e pronta alla rivoluzione contro quel grande usurpatore che è il mio corpo io ti abbraccio. Grazie. Sosteniamo la donazione di organi!”.

Una riflessione….

Provate ad inserire in qualunque motore di ricerca “trapianto di fegato” o anche “trapiantati di fegato”. Vi compariranno davanti una serie di link che vi condurranno, nel web, in un universo di spiegazioni scientifiche. Eppure dietro ognuna di quelle nozioni, inserite in un percorso complesso di diagnosi e cura, ci sono storie fatte di carne e sangue, di sofferenza e paura, di illusioni e di speranze tradite e riaccese, ma soprattutto fatto di attesa, dove la vita di ogni paziente è attaccata a doppio filo alla fine dell’esistenza di qualcun altro.

Significative, a tal proposito, le parole della nostra amica e scrittrice Laura Mazzeri, autrice di “Tra due vite” edito da Giunti, che qui riportiamo (leggi anche “Intervista a Laura Mazzeri, autrice di ‘Tra due vite’. Una storia vera”, 2ANews.it del 18 settembre 2016):

“…quando aspettavo il trapianto, sapevo che lo aspettavo in virtù del fatto che qualcuno sarebbe morto e, accettare quest’idea, è stato per me duro e crudele. Da un lato prevaleva il senso egoistico della vita, il pensiero ‘voglio salvarmi’ e, dall’altro c’era la consapevolezza che qualcun altro sarebbe morto. Certo, non moriva a causa mia, eppure mi ritrovavo a sperare che morisse la persona giusta, quella che avrebbe avuto gli organi adatti a me. Stare in questa dinamica insegna molto. Che i nostri sentimenti non sono così netti, che dobbiamo imparare a vivere nelle ambivalenze e che far prevalere il sentimento etico è una scelta, che deve fare i conti con emozioni contraddittorie e contrastanti. Siamo madri e siamo ambivalenti, siamo mogli, compagne e siamo ambivalenti. Così è anche durante l’attesa del trapianto….”

Quando Silvia ha ricevuto il dono del fegato era piccolina: l’attesa è stata dei suoi genitori, della sua famiglia. Quella stessa attesa che accompagna le settimane e i mesi di tutti i pazienti, fino al fatidico giorno, che arriva improvviso e dirompente, aprendo a una nuova condizione, fatta di ospedale, rianimazione, reparto, convalescenza, che li proietta verso una vita caricata di rinnovata speranza.

Poi, come spesso accade, su quei giorni difficili cala il sipario. Le persone allora si ritrovano sole, con il loro dono. Inizia, così, un silenzioso dialogo interiore con l’ospite salvifico, lungo un percorso di adattamento reciproco, che accompagna la nuova convivenza.

Un viaggio straordinario che conduce alla conoscenza di se stessi e dei propri limiti, alla scoperta delle potenzialità nascoste della propria mente, in nome di ‘una vita governata da farmaci, cure, cautele, ma vita’. (Cit. L. Mazzeri)

Articolo pubblicato il: 19 Dicembre 2016 8:11

Redazione

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