giovedì, Marzo 28, 2024

Corte di Cassazione: prendere il cellulare altrui e leggere gli sms è rapina

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Prendere di nascosto il cellulare del proprio partner per controllare sms e chat è pericoloso.

Lo dice la Cassazione in una sentenza depositata pochi giorni fa secondo la quale si tratta di un comportamento punibile penalmente e ascrivibile al reato di rapina! Eppure trattasi di vizietto comune a molte coppie: chi nella foga di sapere se il proprio lui o la propria lei lo stesse tradendo, non ha mai dato una sbirciatina al di lui/lei telefono? Ma state bene accorti a non farvi scoprire, o più semplicemente astenetevi dal farlo: rischiate multe salatissime e pure il carcere.

Nell’impossessarsi della cosa altrui, perseguendo esclusivamente un’utilità morale (consistente, appunto, nel visionare i messaggi contenuti nel telefono), è da ritenersi sussistente, infatti, l’ingiustizia del profitto richiesta dal reato, in quanto si tratta di finalità antigiuridica che viola il diritto alla riservatezza e incide sul bene primario dell’autodeterminazione della persona nella sfera delle relazioni umane.

Applicando questi principi, la Corte di Cassazione, ha confermato la condanna inflitta nel merito per il delitto di rapina, nei confronti di un uomo che aveva letteralmente “scippato” il cellulare alla propria ragazza nell’intento di leggere i messaggi in esso contenuti, alla ricerca di prove del suo tradimento (cfr. Cassazione n. 24297/2016, scaricabile cliccando qui “http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20160613/snpen@s20@a2016@n24297@tS.clean.pdf” ).

 Per la Corte, la condotta è inquadrabile senza ombra di dubbio nel delitto di rapina, piuttosto che in quello meno grave di furto con strappo, come invocato dalla difesa, giacché tale ultimo reato è integrato dalla condotta di violenza “immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene”, mentre il primo ricorre “quando la res sia particolarmente aderente al corpo del posre e la violenza si estenda necessariamente alla persona, dovendo il soggetto attivo vincerne la resistenza e non solo superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica fra il posre e la cosa sottratta” (cfr., tra le altre, Cass. n. 41464/2010), come avvenuto nel caso di specie.

 

In una denuncia presentata in Tribunale, un ragazzo di Barletta per provare i tradimenti della propria ex, le ha sottratto il cellulare per leggere gli sms e mostrarli al futuro (mancato!) suocero (cfr. Cass. n. 11467/2015). In tal caso, è stato rilevato che la condotta del ragazzo integrasse il delitto di rapina, confermando così la condanna a due mesi di reclusione e la multa di 600 euro inflitta dalla Corte d’Appello di Bari. A nulla sono valse le doglianze dell’imputato sulla mancata sussistenza dell’ingiustizia del profitto, richiesta dal delitto, in quanto l’azione era stata compiuta al solo fine di far conoscere al padre della ex i messaggi che la stessa riceveva da un altro uomo, dimostrando così la sua condotta fedifraga.

I giudici della Corte di Cassazione hanno ricordato che nel delitto di rapina “il profitto può concretarsi in qualsiasi utilità, anche solo morale, in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purchè questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene”. Mentre l’intento del ragazzo, di dimostrare al genitore la scorrettezza del comportamento tenuto dalla figlia nei suoi confronti “integra pienamente il requisito dell’ingiustizia del profitto morale che l’agente voleva ricavare dall’impossessamento del telefono cellulare della sua ex fidanzata”.

Inoltre, hanno sottolineato i giudici di legittimità, la “perquisizione” del cellulare con l’intenzione di prendere cognizione dei messaggi ricevuti dalla ragazza integra una “finalità antigiuridica, in quanto violando il diritto alla riservatezza, incide sul bene primario dell’autodeterminazione della persona nella sfera delle relazioni umane”.

Infatti, ha ricordato la Cassazione, “bacchettando” la condotta del ragazzo ed enunciando un principio di carattere generale: “L’instaurazione di una relazione sentimentale fra due persone appartiene alla sfera della libertà e rientra nel diritto inviolabile all’autodeterminazione fondato sull’art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo (e della donna) senza che sia rispettata la sua libertà di autodeterminazione”. Il che, nella sfera, hanno concluso i giudici, “comporta la libertà di intraprendere relazioni sentimentali e di porvi termine”.

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