venerdì, Marzo 29, 2024

Sclerosi Multipla: “La scrittura è ARTE, ma anche TERAPIA”. Stefania Unida racconta la sua storia

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di Maria Sordino – Stefania Unida ha 33 anni, è laureata e specializzata in Scienze della Natura, ha il dottorato in Scienze della Terra, ed ha la Sclerosi Multipla. Una malattia neurodegenerativa demielinizzante che, col solo nome, fa paura. È causata dal sistema immunitario che attacca la mielina, la sostanza che protegge i neuroni, scatenando un processo infiammatorio, che colpisce il sistema nervoso centrale e provoca la formazione di “placche”, che possono essere disseminate ovunque negli emisferi cerebrali. Stefania, che si è ammalata a 29 anni, non si è arresa e combatte la sua battaglia ogni giorno, raccontando in un blog e su alcune riviste la sua storia e quella di altri come lei: Perché la scrittura è arte, ma anche terapia”.

Perché dovremmo leggere la storia di Stefania e della sua malattia?

Se non la chiamiamo Sclerosi Multipla e proviamo a superare le barriere invisibili che avvolgono questa malattia, che avvolgono Stefania, ci accorgiamo che, nella vita di ognuno, possono succedere eventi più o meno gravi che obbligano a cambiare passo e ad attivare quei meccanismi di autodifesa e autoconservazione, che permettono di superare i momenti difficili. La scrittura è il mezzo che Stefania ha trovato per se stessa. È stata la sua medicina. Dirimente per noi potrebbe essere comprendere, invece, qual’è stato il suo percorso di cura.

La storia di Stefania– È il 2011. Stefania, laureata, è da poco arrivata in Inghilterra, dove lavora come consulente scientifica. Soffre da un po’ di tremori alla gamba sinistra, ma non se ne preoccupa. Quando compare un dolore forte e insopportabile all’occhio sinistro, si rivolge ai dottori. Le dicono che si tratta di una neurite ottica. Deve fare ulteriori indagini e, poiché i tempi di attesa in Inghilterra sono lunghi, decide di tornare in Sardegna. Comincia così una serie di accertamenti, che segnano l’inizio della sua avventura, come lei stessa la chiama. È novembre. La diagnosi arriva sotto Natale: Sclerosi Multipla recidiva remittente. Stefania non ha idea di cosa si tratti e si arrabbia, pensa che i medici hanno sbagliato. Cerca in Internet e quello che trova non le piace, è deprimente, preoccupante, freddo. È per reagire a quel “freddo”, che Stefania comincia a scrivere.stefania-2

Stefania, parlaci del momento in cui hai deciso di dedicarti alla scrittura, dopo la diagnosi di SM.

“Ho sempre amato la scrittura, ma dopo la diagnosi pensai che la scrittura potesse diventare per me anche uno strumento terapeutico. Trasformare in parole i miei pensieri mi aiutava psicologicamente. All’inizio i miei scritti erano molto crudi ed emozionali, spesso anche un po’ dark, forse perché stavo vivendo il trauma di sentirmi “diagnosticata”. Poi, cominciai a fare ricerche sulla SM. In rete trovai poco, non c’erano molti forum o gruppi sociali virtuali (e non) in cui si potesse conversare con altre persone con la stessa patologia. Fu così che mi venne l’idea di aprire un blog, che poi divenne un sito. Decisi di chiamarlo Flip Out 4 MS, perché il verbo “flip out” significa letteralmente flippare, sclerare in slang americano. Il sito nacque proprio così, da quell’urgenza terapeutica di condividere, con lo scopo di trovare “compagni di avventura/sventura”, che stavano vivendo simili emozioni”.

Hai condiviso tante storie sul tuo sito in questi anni. Raccontaci una storia che ti è cara e che per te è particolarmente significativa.

“La rubrica “Real Stories”, sul sito, raccoglie storie vere di ragazzi neo-diagnosticati o adulti che hanno una “relazione” più o meno lunga con la SM. Sono tutte persone che ho conosciuto nella grande rete virtuale e nei vari gruppi di sostegno online, a riprova del fatto che la virtualità può anche essere utile a farci sentire tutti più vicini, come una sorta di grande famiglia. Tutte le storie che mi sono state inviate hanno degli aspetti che mi hanno commosso e ispirato e con alcune delle persone che mi hanno inviato le loro testimonianze, ho instaurato anche una bella amicizia, seppur solo virtuale. Una delle ultime “real stories” che mi ha colpito particolarmente è quella di Anna, classe 1980, che aveva il sogno di diventare una fotografa. La sua storia mi ha insegnato che non bisogna mai smettere di sognare, nonostante tutto, nonostante i dolori, la diagnosi e la malattia”. http://vivibene.org/la-storia-di-anna-2/

Come le Real Stories ti hanno aiutato a creare una grande rete virtuale?

“La rubrica è uno spazio in cui persone di diversa età e di diverso background si raccontano senza censure. Sono storie che suscitano emozioni, fanno riflettere, offrono coraggio e un differente punto di vista al lettore: è importante comprendere che la sclerosi non presuppone necessariamente una vita limitata, ma al contrario apre gli occhi e il cuore, rendendoci più simili al nostro vero io. Questo contribuisce a creare una comprensione e una conoscenza più accurata della realtà del malato, soprattutto nella popolazione dei “sani””.

Che valore ha la rete virtuale per te?

Credo che la rete sia estremamente importante oggi per chi come me convive con questa malattia. E lo è per molteplici motivi. Il primo è che, con l’avvento dei Social Media, è nata una nuova forma di comunicazione online anche per fare divulgazione scientifica. I Social Media hanno una potenzialità di comunicazione immensa. Facebook, in particolare, non nasce per essere un aggregatore di news, ma è innanzitutto uno strumento di comunicazione tra le persone, per condividere punti di vista, opinioni e, in particolare, serve a dialogare. Per quanto riguarda la divulgazione scientifica, bisogna tenere presente che le informazioni scientifiche, insieme alle teorie complottiste, si diffondono su Facebook attraverso le stesse modalità di condivisione dei contenuti. Pertanto, ci sono alcuni aspetti negativi nella divulgazione scientifica sui Social Media, da cui non è possibile prescindere: la possibilità di verificare le informazioni e la presenza di fonti bibliografiche sono, a mio avviso, estremamente importanti, se non essenziali. Premesso questo, la rete mi permette di diffondere notizie scientifiche che spesso vengono condivise solo in siti di lingua inglese o articoli scientifici complessi, che io traduco e spesso elaboro o semplifico per poterli rendere più facilmente fruibili a chi mi legge. La rete mi permette di condividere stati d’animo, che difficilmente riuscirei ad esternare con semplici parole, mi da modo, dunque, di soffermarmi sugli eventi della vita e sul loro valore. Inoltre, mi ha permesso e mi permette ogni giorno di dialogare con persone che arricchiscono in qualche modo la mia vita e il mio “viaggio” con la SM.

Scrivi storie horror per esorcizzare la paura e imparare a controllarla?

Ho iniziato la rubrica “Friday Horror” per soddisfare l’altra mia grande passione e cioè la psicologia: uno spazio dedicato a racconti noir e indagini su assassini seriali. Non sono lo specchio del mio rapporto con la malattia, ma certamente mi ricordano la paura che provai quando fui diagnosticata e che mi portò ad avere qualche episodio di panico incontrollato”.

Cosa ti fa soffrire di più nel tuo rapporto con “i sani”?

Fondamentalmente una persona con SM ha bisogno di comprensione. A volte chi ci sta intorno, spesso anche i medici con cui siamo purtroppo costretti a relazionarci spesso, non comprendono a fondo il malato di Sclerosi Multipla. Lo ritengono una sorta di “commediante” e tendono a ridimensionare i nostri dolori e il nostro malessere. Questo perché la Sclerosi Multipla è nella maggior parte dei casi una malattia invisibile con sintomi anch’essi invisibili. L’astenia, l’affaticamento, la depressione, la preoccupazione del futuro che mai abbandona il malato, restano ristrette nel “piccolo” mondo di chi ha la Sclerosi Multipla, confinate nei pensieri incompresi di chi ne è affetto. La frustrazione che ne deriva è spesso insopportabile e in qualche modo ci fa ammalare di più. Ci si sente quasi in colpa a non avere degli evidenti “difetti”, cicatrici pronte e visibili agli occhi di amici, parenti, datori di lavoro e compagni.

Come ti prendi cura di te stessa?

“Dedico del tempo ai miei pensieri e alla preoccupazione, attraverso la scrittura. Condivido poi la paura con le persone care o gli amici fidati. Anche se talvolta non possono capirmi completamente, è importante provare a comunicare le emozioni. In questo senso, la virtualità e i gruppi di supporto online possono essere molto d’aiuto. La paura e l’ansia possono diventare opprimenti: sapere che altri mi ascoltano o mi leggono, mi aiuta a viverle secondo una diversa prospettiva”.

Per concludere, allora, potremmo dire che la malattia crea insicurezza e l’insicurezza genera paura. Ma la paura può far parte del meccanismo di fuga o di lotta e può diventare fonte di motivazione e reazione. Che lo si faccia attraverso un blog o attraverso Facebook, con contatti virtuali o reali, la strategia vincente è quella di uscire dall’isolamento che incatena la mente alla malattia del corpo, alla malattia dell’anima. Che sia questa la cura?

È possibile contattare Stefania Unida attraverso il suo sito:

https://flipout4ms.com

 

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