Cinema

“Orizzonti di Gloria” e “Uomini Contro”: la “Grande Guerra” secondo Kubrick e Rosi

Due capolavori del cinema di guerra antimilitarista, sagacemente diretti da Stanley Kubrick e Francesco Rosi; due “cult movie” internazionali, divenuti celebri e immortali.

Recentemente, spulciando una potenziale classifica dei migliori film di Kubrick, mi sono accorto che uno dei suoi più bei film, dei quattro lungometraggi antimilitaristi diretti dal regista inglese, non era presente in questa sorta di classifica provvisoria; tralasciando Fear and Desire, Il dottor Stranamore e Full Metal Jacket, mi sono subito ricordato del quarto e cioè di Orizzonti di Gloria.

Basato su una tragica storia vera, il film è ambientato in Francia nel 1916, negli anni della Grande Guerra, quando i francesi erano impegnati contro i tedeschi dal 3 agosto 1914 e la guerra di trincea era ormai ad una fase di stallo disperata; bisognava a tutti i costi attaccare e conquistare il “Formicaio”, un’importante e strategica postazione nemica che affacciava sulle trincee francesi.

L’attacco di rivelerà un tragico fallimento e i soldati verranno massacrati dalle truppe nemiche. Interpretato magistralmente da un grande Kirk Douglas, questa pellicola mostra come alcuni soldati siano giustiziati ingiustamente dai loro superiori, solo per ambizione, orgoglio e avidità di potere.

La lunga trama del film, efficiente ed inesorabile, descrive con spietata lucidità gli orrori della Grande Guerra, attraverso l’umanità del suo protagonista, il colonnello Dax, che nonostante si impegni con gli sforzi estremi a salvare i suoi soldati, non può nulla contro un sistema ottuso, idiota e ambizioso, rassegnandosi alla perdita dei suoi uomini. Per un “capriccio” del generale Mireau, e per spronare le truppe a comportarsi meglio in futuro, vengono condannati a morte da innocenti e immolati al sacrificio, come capro espiatorio nei confronti di un esercito che era stato aspramente criticato dai politici e dalla stampa, tre soldati semplici, scelti a sorte tra i loro soldati dai comandanti delle tre compagnie.

Il generale Mireau, dopo l’ignobile esecuzione dei condannati commenterà quanto segue: “Gli uomini sono morti splendidamente”.

Questo film del 1957 procurò notevoli problemi a Kubrick, poiché suscitò reazioni controverse e molto negative tra i militari di tutto il mondo; la Francia lo fece addirittura ritirare dal Festival del Cinema di Berlino, e solo nel 1974 fu distribuito per la prima volta in tutte le sale francesi.

E’ senza dubbio uno dei migliori  film di Kubrick per l’autenticità del materiale trattato ma soprattutto per le significative inquadrature delle trincee, del luogo dell’esecuzione e dei numerosi corridoi che creano quel senso di opprimente simmetria, con un effetto psicologico estremamente forte.

Qui il regista ha voluto sottolineare l’ottusità spasmodica e delirante dei generali che, come bambini, vogliono vincere a tutti i costi una guerra assurda, per vanità e per potere, usando i soldati come burattini di latta e non come esseri umani, che invece il colonnello Dax tratta non solo con umanità, ma quasi come se fossero suoi figli. Per tutto il film lo spettatore è messo di fronte ad una situazione di profonda frustrazione per l’ingiustizia che viene raccontata, suscitando un forte senso di rabbia.

Quella medesima rabbia che ritroviamo in un altro capolavoro, questa volta italiano, che per certi versi è molto simile a questo. Mi riferisco aUomini contro” di Francesco Rosi, del 1970, il suo film più duro e rigoroso che il regista napoletano abbia mai realizzato in tutta la sua brillante carriera di regista.

E’ lui stesso a raccontarci la trama: “Due ufficiali hanno sul mondo punti di vista diversi. Uno è liberale, l’altro invece è socialista. Una dicotomia che fa da filo conduttore al film, che racconta la guerra (la Grande Guerra) i combattimenti, le uscite dalle trincee, che erano sempre un’ecatombe. L’ufficiale impersonato da Mark Frechette, a causa di questioni legate alla durezza della disciplina e del codice militare, paga con la vita dopo aver disobbedito al suo generale”.

Questa, per sommi capi, la trama descritta dal regista che volle raccontare, con cruda realtà la vita impossibile e disonorevole delle trincee, attraverso un’umanità semplice e innocente di poveri contadini che, senza un’adeguato e serio addestramento e impreparati al combattimento, furono mandati a morire come bestie in un macello, sui campi di battaglia che ogni giorno lasciavano sul terreno decine e decine di corpi martoriati dal fuoco nemico.

Solo il tenente Ottolenghi, abilmente interpretato da Gian Maria Volonté, ha il coraggio di incitare i suoi soldati a non obbedire al generale che aveva ordinato un assalto folle, praticamente un suicidio collettivo, quando poco prima lo stesso generale aveva disposto la fucilazione sul posto di un povero soldato, reo solo di aver gridato innocentemente “alt”; con uno stratagemma, Ottolenghi riuscirà a salvare quel povero soldato.

Anche qui il regista descrive, con disprezzo, l’ottusità dei comandi militari attraverso una significativa battuta del capitano Abbati, interpretato dall’indimenticabile Giampiero Albertini quando, rivolto al sottotenente Sassu commenta: “Meno male che anche i comandi militari austriaci, sono idioti come i nostri. Durante il conflitto, spesso gli ufficiali erano costretti a far “passare per le armi” i numerosi soldati che con l’accusa di diserzione, fuggivano da una realtà assurda dove il morale, sempre basso e disordinato, non produceva quella spinta patriottica che invece avrebbe dovuto essere la forza primaria per il combattimento.

La situazione in Italia era disastrosa perché fu lasciata morire un’intera generazione di giovani che si trovarono, dall’oggi al domani, a combattere una guerra senza mezzi adeguati, analfabeti e privi di ideali patriottici.

I due film citati anche se diretti da due registi così diversi, raccontano secondo il loro punto di vista il fallimento di una guerra mondiale, la Prima, sottolineando l’inadeguatezza dei comandi militari, con strategie sbagliate e assalti suicidi, trasmettendoci quel senso di profonda frustrazione che gli stessi soldati avvertivano sui campi di combattimento.

Lo stesso Pier Paolo Pasolini affermò che fu mandata a morire “La meglio gioventù”, povera, sbandata e impreparata, da una classe politica e militare, iniqua e inefficiente; più tardi con questo stesso titolo pubblicò una raccolta di scritti che forse alludono proprio a questa generazione di giovani, cancellata per sempre dall’orrore della guerra.   

Articolo pubblicato il: 23 Dicembre 2020 9:07

Carlo Farina

Carlo Farina - cura la pagina della cultura, arte con particolare attenzione agli eventi del Teatro San Carlo, laureato in Beni culturali, giornalista.