giovedì, Aprile 25, 2024

Un ricordo di Luchino Visconti, nei giorni della sua scomparsa

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Carlo Farina
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Carlo Farina - cura la pagina della cultura, arte con particolare attenzione agli eventi del Teatro San Carlo, laureato in Beni culturali, giornalista.

Quarantaquattro anni fa, si spegneva a Roma Luchino Visconti, uno dei più grandi e intellettuali registi del cinema italiano. Ci ha regalato indimenticabili capolavori di grande raffinatezza stilistica e sapiente vena musicale

Il 17 marzo 1976, muore a Roma, Luchino Visconti. Il mondo del cinema e della cultura perde uno dei più grandi registi italiani il cui valore e l’importanza sotto il profilo intellettuale e cinematografico, è immenso.

Visconti, già regista maturo e celebrato era noto, infatti, insieme a De Sica e Rossellini, come uno dei padri del neorealismo. Indimenticabili film come Ossessione (1943), La Terra trema (1948), Bellissima (1951) e Rocco e i suoi fratelli (1960), ne avevano sancito la popolarità e di fatto era già entrato di prepotenza nella storia del cinema mondiale.

Tuttavia, Visconti aveva già abbandonato questo stile oggettivo che rispecchiava prima di tutto i problemi sociali della classe operaia concentrandosi, più tardi, nella realizzazione di film che erano divenuti più personali e raffinati. I suoi ultimi film, tra cui Morte a Venezia (1971), evidenziano sia la disgregazione morale ed economica delle famiglie aristocratiche, sia la decadenza della borghesia, di cui lo stesso Visconti faceva parte.

Non dimentichiamoci, infatti, che lui stesso discendeva da una famiglia aristocratica e, avendo avuto la possibilità di finanziare i suoi film, poteva senza dubbio essere considerato un privilegiato nel suo campo artistico.

Figlio del Duca Giuseppe Visconti di Modrone e di Carla Erba, ricca ed elegante donna della società aristocratica milanese dell’epoca, vive un’adolescenza segnata da un’educazione che lo indirizza all’amore verso l’arte, la cultura ma soprattutto alla musica, favorito da un raffinato e colto ambiente familiare.

Un ricordo di Luchino Visconti, nei giorni della sua scomparsa

Mio padre! Un nobile, ma certo non un frivolo e tantomeno un cretino. Un uomo colto e sensibile che amava la musica e amava il teatro. Che ci ha aiutati tutti a capire e ad apprezzare le cose che contavano, appunto la musica, il teatro, l’arte. Mia madre, che s’occupava di tutto ma soprattutto dei figli, mi fece prendere lezioni di violoncello. 

Con queste parole Visconti descrive con estrema chiarezza la sua “condizione” di uomo fortunato, un uomo che non prende le distanze né dalle passioni né dalle tradizioni della famiglia, ma che anzi raccoglie con fierezza e dedizione, gli insegnamenti preziosi dei suoi genitori.

Tralasciando gli aspetti più “cinematografici” del suo lavoro, e mi riferisco per esempio alle preziose inquadrature, ai magnifici costumi del Gattopardo (1963), o alla sua maniacale perfezione sul set, voglio invece approfondire la presenza importantissima della musica nei suoi film, che sarà sempre una componente fondamentale e mai accessoria. Sembra quasi, infatti, che non sia la musica a fare da commento alle immagini nei suoi film ma, viceversa, siano le scene di questi ultimi ad accompagnare spesso le splendide musiche.

Vediamo insieme alcuni esempi di tale inconfutabile realizzazione musicale, nel suo cinema. In Bellissima (1952), la scelta delle musiche cadde sui temi dell’Elisir d’amore di Donizetti, in Ludwig (1973), furono invece scelte musiche di Wagner, dal Lohengrin al Tannhauser, al Tristano e Isotta, per Gruppo di famiglia in un interno (1973), fu scelta l’aria per soprano e orchestra K 418 di Mozart, e infine per L’innocente (1973), fu inserita la Marcia alla turca di Mozart, dal terzo movimento della Sonata K 331, i Giochi d’acqua a Villa d’Este di Liszt, alcuni valzer di Chopin e la celeberrima aria Che farò senza Euridice, dall’Orfeo ed Euridice di Gluck. Ma la sua più celebre e sorprendente realizzazione “musicale” è senza dubbio quella che possiamo ritrovare nel suo film capolavoro Morte a Venezia (1971), tratto da un racconto brave di Thomas Mann, una delle più grandi personalità di spicco della cultura europea della prima metà del Novecento, che come Visconti, apparteneva ad un ceto nobile, unito da un comune sentimento antifascista.

Visconti sceglie per questo film le musiche di un compositore piuttosto sconosciuto, che però era un grande direttore d’orchestra la cui fama, paradossalmente, ne aveva offuscato quella, ben più ampia, di autore sinfonico: Gustav Mahler. Saranno infatti proprio le musiche di questo grande direttore e musicista, ad animare e accompagnare tutte le scene del film citato, e in particolare l’Adagietto, che apre la terza parte della Sinfonia No. 5, diventando il Leitmotiv del film.

Grazie a Visconti, la musica di Mahler conobbe in pochissimo tempo una grande popolarità, e per questo gli va riconosciuto anche il merito di aver contribuito in maniera determinante alla diffusione e alla conoscenza della musica del compositore boemo che, che ho già accennato prima, era conosciuto soprattutto per la sua intensa attività di direttore d’orchestra.

Quella dell’Adagietto di Mahler, è senza dubbio una delle pagine orchestrali più struggenti, che questo autore abbia scritto nell’arco della sua vita, affidando il malinconico tema ai soli archi e arpa, escludendo dall’organico orchestrale tutti i fiati.

Con sapiente maestria, Visconti è riuscito a realizzare un film commentato interamente da questo struggente Adagietto, evidenziando le sue competenze artistiche, e mi riferisco soprattutto al settore strettamente musicale, riuscendo a fondere perfettamente la musica con il materiale cinematografico che aveva a sua disposizione.

Spero di essere riuscito ad infondere quella curiosità che porterà il lettore di questo breve profilo di Visconti, a vedere o rivedere il film citato, ma soprattutto ad ascoltare non solo il bellissimo Adagietto, ma tutta la Sinfonia dalla quale questo breve movimento, è tratto. 

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