giovedì, Aprile 25, 2024

Al Mercadante la grande attesa del tenente Drogo

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Giuseppe Giorgio
Giuseppe Giorgio
Caporedattore, giornalista professionista, cura la pagina degli spettacoli e di enogastronomia

Al Teatro Mercadante lo spettacolo  “Il deserto dei tartari”, una vera dimensione drammaturgica al capolavoro datato 1940 dello straordinario scrittore e giornalista bellunese. Recensione.

di Giuseppe Giorgio – Insinuandosi nel caratteristico ed originale tono letterario di Dino Buzzati,  ed andando oltre la chiara derivazione kafkiana, è il regista e attore Paolo Valerio, in questi giorni al Teatro Mercadante con “Il deserto dei tartari”, a offrire finalmente,  una vera dimensione drammaturgica al capolavoro datato 1940 dello straordinario scrittore e giornalista bellunese.

Superando le varie letture teatrali proposte fino ad oggi e oltrepassando i limitati confini del film di Valerio Zurlini del 1976, la visione dell’opera vista alla prima nello Stabile di Napoli, riesce emozionalmente a catapultare gli spettatori  all’interno di una misteriosa  atmosfera surreale e metafisica privata fino all’assurdo di ogni connotazione geografica e temporale.

Al Mercadante la grande attesa del tenente Drogo

Puntando proprio sulla  grande prerogativa di Buzzati di creare racconti perfettamente in bilico  su quel sottile confine che separa la realtà dalla fantasia, Valerio, riesce ad esaltare in scena tutto il fascino  di un romanzo fino ad oggi ad unico appannaggio delle pagine scritte. Con la sua compagnia di cui è egli stesso componente, Valerio, insieme a Leonardo De Colle, Alessandro Dinuzzi, Simone Faloppa, Marina La Placa, Marco Morellini, Roberto Petruzzelli, Mario Piluso (pianoforte e fisarmonica), Christian Poggioni e Stefano Scandaletti, conduce per mano il pubblico fino a portarlo alla scoperta di qualcosa che deve inevitabilmente accadere.

Al Mercadante la grande attesa del tenente Drogo

Agendo sul raffinato e semplice, al tempo stesso, linguaggio di Buzzati, Valerio che ha anche adattato il testo, riesce così, nel migliore dei modi, a concentrare tutta la forza del suo lavoro sul personaggio principale: l’ufficiale Giovanni Drogo e sul fascino della sua storia e del  suo destino. Appena ventenne, Drogo, prende servizio alla Fortezza Bastiani, ultimo avamposto ai confini settentrionali di un regno ed improbabile estremo baluardo sul deserto posto a difesa di un eventuale attacco nemico.

Drogo, insieme agli altri ufficiali e le truppe, ammaliato da un’attesa inspiegabilmente tentatrice e vittima di un occulto torpore, passa  così il resto della sua vita a scrutare la pianura desertica  nella speranza di una guerra capace di gettare un fascio di luce sulla sua esistenza. Finchè, quando questo suo sogno sta per avverarsi, gravemente malato, è allontanato dalla fortezza proprio mentre il tanto sperato nemico sta per giungere.

Così, isolato e preda di quella stessa solitudine compagna di vita, Drogo, si trova faccia a faccia con la morte assaporando a modo suo e con un sorriso da vecchio ufficiale  la sua beffarda vittoria. Con le scene di Antonio Panzuto, i video e le immagini tratte dai quadri di Buzzati a cura di Raffaella Rivi,  i costumi di Chiara Defant, le musiche originali di Antonio Di Pofi e le luci di Enrico Berardi, “Il deserto dei tartari” immaginato da Valerio e prodotto dal Teatro Stabile del Veneto- Teatro Nazionale, conquista la platea con la vicenda del giovane tenente Drogo e con la sua immensa ed introspettiva poeticità.

Con tutti gli attori della compagnia che a turno impersonano Drogo, attraversando, in base all’età, la sua imprescrutabile esistenza e lasciando viaggiare di pari passi l’inesorabile trascorrere del tempo con la fiducia derivata da un’attesa assurda e malata, il lavoro sembra dosare al meglio gli ingredienti utilizzati dall’autore Buzzati tra cui quelli più importanti: come il sogno e i paesaggi infiniti.

Tant’è che alla fine, evocando la solitudine del povero e speranzoso ufficiale, ovvero, la stessa solitudine provata dell’autore Buzzati durante il suo lavoro di inviato, l’adattamento, giocando su quella stessa forza allegorica di tutto il testo, porta in scena l’imprescindibile necessità dell’uomo di dare un senso alla vita ed alle proprie azioni.

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