Lo spazio interno del Museo e quello esterno del Bosco trovano un ideale punto di convergenza nella sala “Incontri Sensibili”, al secondo piano.
Qui l’orizzonte del giardino storico di Capodimonte incontra l’opera Senza Titolo, 1989, e lo schermo quadripartito dell’opera Scatole Trasparenti, un progetto inedito, risalente agli inizia degli anni Settanta che segna il tentativo più avanzato e rarefatto di includere la variabile ambientale e l’elemento paesaggistico all’interno dell’opera d’arte.
La trasparenza propria della plastica, sebbene limpida e pura, sembrava collidere con la pratica artigianale prediletta dall’artista. Il progetto è presentato per la prima volta al pubblico in una versione realizzata in plastica ecosostenibile e concepita come uno spazio accessibile solo agli occhi dell’osservatore, presente nella Sala 82 del Museo di Capodimonte. Le installazioni, tra Cellaio (dove si trova la Chiesa di San Gennaro nel Real Bosco di Capodimonte) e le tele esposte nel Museo preludono e suggeriscono le evoluzioni ambientali degli anni successivi, visibili all’interno del Cellaio stesso, uno dei 17 edifici storici del Real Bosco.
Qui sono esposte alcune delle grandi installazioni realizzate negli anni Settanta, concepite come un complesso congegno scenografico. Giochi di trasparenze, superfici tessili, lignee e metalliche si fondono con l’architettura ospitante e con lo spazio naturale circostante. Queste installazioni sono esempi di una ricerca meno nota, una indagine sulla realtà sensibile, così come testimoniato dallo stesso artista che lasciò questo significativo commento: “Ad un certo punto ho voluto rubare il quadro al muro.
Desideravo una pittura che la potevi abitare. E partivo dallo schema di una siepe che filtrava la luce. Ma come costruire uno spazio senza dividerne un altro? Assegnai ad ogni materiale la sua trasparenza, la sua personale portanza nell’aria. Ed era un Labirinto. Però facile, benevolo. Me ne accorsi subito. Più mi allontanavo dal muro e più la pittura si riprendeva tutte quelle pareti trasparenti che andavo alzando qua e là. Ogni cosa diventava immagine, forma, colore. E perciò era pittura. Ma era una pittura nuova e mi emozionava, forse perché non la facevo io”.
Altre installazioni di maggiore ampiezza sono poste in stretta relazione con il paesaggio del Real Bosco di Capodimonte, parte integrante del percorso diffuso. Tra queste, ci sono Ricerca sul paesaggio, 1972-74, un’installazione ambientale di reti metalliche colorate che resterà a Capodimonte, esposta sulle praterie antistanti il Cellaio, come dono da parte degli eredi Emblema.
Nel Cortile monumentale della Reggia sarà visibile Senza Titolo / Ricerca sull’architettura, 1995-2000, una struttura cubica in ferro e pietra lavica di 3 metri. In questi lavori, gli elementi e le variabili dello spazio concreto sono unite entro una superficie d’insieme, pittorica e visuale al contempo. Le istallazioni ambientali si smaterializzano fino a diventare sottili filtri per lo sguardo, paesaggi incastonati nel paesaggio.
Salvatore Emblema nasce a Terzigno (Napoli) nel 1929. Dopo aver frequentato l’istituto d’arte e la Scuola del Corallo di Torre del Greco, la sua ricerca prende avvio a Roma, dove si trasferisce nel 1948, portando con sé i primi lavori: collages di foglie disseccate (“fullografie”) il cui successo gli aprirà le porte dei circoli artistici di via del Babuino.
Nel corso degli anni Cinquanta sperimenta nuovi materiali, passando dalle foglie alle pietre e alle terre vulcaniche, che compariranno nelle opere esposte nelle prime personali, a cominciare da quella del 1956 presso la Galleria San Marco. Nello stesso anno si reca negli Stati Uniti dove intraprende un percorso di studio e di comprensione profonda delle proprie esigenze creative.
Conosce gli artisti della School rimanendo colpito, soprattutto, dalla ricerca di Mark Rothko. Agli inizi degli anni Sessanta vive tra Roma e Napoli. Lavora come scenografo a Cinecittà realizzando interni per numerosi film, tra i quali La strada di Federico Fellini. Nasce in quegli anni una serie di opere caratterizzate da una profonda istanza materica. Nella seconda metà del decennio vedono la luce le prime “tele nude”, incorniciate da fasce di colore. Lo spazio reale e quello pittorico coesistono in una matrice unica e si esaltano l’un l’altro. È un ulteriore passo verso quella che sarà la sua conquista più personale: la “Trasparenza”, canonizzata da Giulio Carlo Argan nel 1979.
Le tele “detessute”, come le definisce Palma Bucarelli, sono l’oggetto di numerose esposizioni durante tutto il corso degli anni Settanta. Quel grande fermento creativo culmina nel 1979 con due importanti esposizioni: a Ferrara, al Palazzo dei Diamanti, e a Napoli alla Villa Pignatelli. Nel 1980 e nel 1982 partecipa alla Biennale di Venezia. Gli anni Ottanta segnano altre importanti tappe. Un suo autoritratto sul tema della trasparenza è scelto da Argan per la collezione degli Uffizi di Firenze, tiene personali alla galleria comunale di Cesena (1981) e al Palazzo Reale di Napoli (1985). Nel 1982 tiene una mostra al Museo Bojmans di Rotterdam, dedicata al suo lavoro ambientale.
Negli anni la pittura di Emblema è andata acquistando in scioltezza, agilità compositiva e urgenza di esecuzione: il rapporto tra la luce, la materia e gli elementi fondanti della pittura si è sviluppato per semplificazioni successive, secondo le regole di una “matematica emotiva”, definizione proposta dal critico israeliano Amnon Barzel.
Articolo pubblicato il: 28 Maggio 2022 11:10